Parlavo in settimana con un collega di uno dei pericoli maggiori che si corre quando si lavora per un’azienda, che e’ quello di ritenersi indispensabili, tanto da pensare che senza di noi nulla potrebbe funzionare e tutto si fermerebbe. Spesso questo accade quando si manifesta un latente bisogno di stima, considerazione, rispetto che pero’ appunto sfocia nel paradosso opposto che appunto e’ quella sensazione che senza di noi tutto cesserebbe di andare bene.
Penso sia capitato a tutti almeno una volta, se non di piu’, ma e’ importante leggere queste situazioni in maniera analitica per poterle, ricondurre ad un risultato positivo.
Ma perche’ non siamo e non saremo quasi mai (o mai… visto che anche la Apple dopo Jobs ha continuato a crescere in modo smisurato…) indispensabili per le aziende per cui lavoriamo?
1) L’azienda e’ prodotti, processi, clienti, fornitori e dipendenti. Focalizzata bene questa la complessita’ ritengo che come il cliente o il fornitore piu’ importanti possano essere rimpiazzati o cambiati, anche un dipendente per quanto di valore possa essere sostituito senza compromettere il business.
2) L’azienda il piu’ delle volte esiste da molto piu’ tempo rispetto al tempo in cui ci lavora un dipendente, puo’ aver vissuto momenti di gloria come momenti difficili. Molti arrivano ed altrettanti se ne vanno, trovo alquanto singolare pensare che si possa davvero pensare di essere l’eccezione che conferma la regola di continuita’ del business aziendale.
3) Per quanto possiamo ritenere uniche le nostre qualita’ ed alto il nostro valore, le aziende sono un sistema connettivo relazionale, dove il valore del singolo nell’organizzazione non e’ mai il valore di un solo individuo, ma e’ la somma di quel valore piu’ al moltiplicatore relazionale dei valori dei singoli colleghi con qui si collabora. Ecco anche che chi ha enormi doti e si considera indispensabile, potrebbe trovarsi in un organizzazione con un valore totale molto inferiore a quello di una persona meno dotata, ma molto piu’ relazionale del “fenomeno”.
Assodata quindi la praticamente impossibile indispensabilita’ di ognuno di noi nelle rispettive organizzazioni, cosa ci resta? Rimane la nostra utilita’, ovvero la capacita’ di portare valore aggiunto. Per poterlo fare basta semplicemente sfruttare le stesse 3 ragioni che ho utilizzato per dimostrare la non indispensabilita’:
1) Rispetto ai prodotti, processi, clienti, fornitori e dipendenti, l’utilita’ e’ quella di aggiungere qualcosa ad ognuno di questi fattori, qualcosa che deriva dalla nostra unicita’ come professionisti, con il nostro bagaglio, culturale, esperienzale, tecnico e motivazionale.
2) Vivere il momento storico che ci vede protagonisti nell’azienda in cui lavoriamo come momento unico, non ripetibile, dove comportamenti, intelligenti, possono comunque segnare la storia dell’azienda e modificarne il corso.
3) Le relazioni in azienda sono forse una delle cose piu’ complesse e difficili da gestire, fungere da catallizzatore positivo di relazione non e’ semplice, ma ritengo sia molto facile e soddisfacente dell’atteggiamento invece che tende a creare conflitti e ad esasperare relazioni.
Essere utili significa che pur consapevoli di non essere indispensabili si puo’ sempre trovare il modo di lasciare il segno, per la soddisfazione di fare qualcosa dove gli altri non erano prima riusciti, senza presunzione di onnipotenza ma con la soddisfazione di aver fatto qualcosa per un azienda ed assieme ad altri colleghi come noi, tutti utili, ma nessuno indispensabile!